“Amusia” è il titolo del nuovo lavoro targato Asofy, progetto dell’artista milanese Tryfar, molto noto anche per la sua opera visuale, fra cui è doveroso citare la collaborazione di lunga data con l’etichetta Avantgarde Music, per ciò che concerne artwork ed altri aspetti di grafica. Ovviamente è proprio dall’etichetta di Mammarella che questo disco, come i precedenti, viene pubblicato, e tale connubio non potrebbe essere più consono e spontaneo, data l’immediata vicinanza e relazione concettuale e stilistica, prima che meramente geografica.
In un momento così cupo, insicuro e incerto, in cui l’essenza stessa della società per come la conosciamo è messa (finalmente?) in discussione dalla pandemia CoVid-19, a cui proprio la Lombardia sta pagando purtroppo un pesantissimo tributo, in termini di vittime, questo album riflette lo stesso ripiegamento interiore e isolamento sociale che tutti stiamo vivendo quotidianamente, delineando una perfetta continuità di senso e sensibilità col precedente “Nessun Luogo” (2017).
Composto in tempi non sospetti per l’attuale situazione globale, “Amusia” trae ispirazione in primis da “Musicofilia” di Oliver Sacks (2007), associando e ampliando il concetto ad un sentire sociale, una difficoltà o persino mancanza di percezione sensoriale, anche relazionale, diffusa e ormai endemica.
I testi sono invece nella maggior parte dei casi tratti dal capolavoro di Joris-Karl Huysmans “À rebours” (1884), opera che, come suggerì Guy de Maupassant, si può definire la «storia di una nevrosi» vissuta da un giovane, nella Parigi fin de siècle. Stanco del rapporto continuo ed estenuante con i suoi simili, il protagonista intende rescindere ogni forma di relazione, per rifugiarsi in una dimensione solitaria e fuori dal tempo.
Attorno all’impalcatura scarna della trama, l’autore dà vita a una complessa architettura compositiva. Grazie a un vasto repertorio di vocaboli ed espressioni, apporta variazioni cromatiche ai suoi periodi, fa di aggettivi e avverbi tocchi di classe con cui realizzare proposizioni fluide, dense, colorite, che veicolano al lettore raffinate sensazioni e permeano l’atmosfera di misticismo cosparso di occulto.
Tali considerazioni possono valere a buon diritto anche per l’album di Asofy, che a livello prettamente musicale riesce a consolidare e valorizzare il proprio approccio minimalista, sempre in bilico fra doom, black e dark-ambient, con una grande attenzione agli arrangiamenti, alla scelta dei suoni da porre in evidenza e alla giustapposizione fra pieni e vuoti, dinamismo e stasi.
Rispetto al disco precedente “Amusia” pare appunto più dinamico e vario, forse perchè meno legato all’impalcatura tipo concept album e più libero di sondare, brano dopo brano, diversi aspetti del rapporto umano con la musica, la sua essenza e/o assenza, a livello psicologico e culturale, come suggeriscono i titoli delle diverse composizioni.
Sfogliando il dettagliato booklet dell’album si comprende quanto approfondita sia stata la riflessione personale sottesa alla lettura delle opere citate, a cui si aggiungono, in una coralità di spunti perfettamente coerenti e ben restituiti all’ascoltatore, Jack London, Natalia Ginzburg, Vilfredo Pareto.
L’opera di Tryfar si conferma dunque ancora una volta come un unicum, a livello nazionale e non solo, per la sua peculiare capacità di non essere solo un (bel) disco da ascoltare, ma un’esperienza vera e propria, da sperimentare mettendo in gioco la propria sensibilità, perchè, come nota lo stesso Sacks:
Siamo tutti in grado (con pochissime eccezioni) di percepire la musica: l’altezza delle note, il timbro, l’ampiezza degli intervalli, i contorni melodici, l’armonia e (forse nel modo più primordiale) il ritmo. Noi integriamo tutto questo e «costruiamo» mentalmente la musica servendoci di molte parti diverse del cervello. A questo apprezzamento strutturale, in larga misura inconscio, si aggiunge poi una reazione emozionale, intensa e profonda.