“Birth of Violence” è il nuovo album della starlette del drone-metal-art-folk Chelsea Wolfe, seguito dei due acclamati “Abyss” e “Hiss Spun“, caratterizzati da suoni sperimentali e atmosfere surreali, legati anche al tema della paralisi del sonno, di cui l’artista californiana ha esperienza diretta.
A discapito del titolo, questo lavoro è quasi del tutto acustico, imbevuto di un’atmosfera notturna e meditativa, che lascia quindi in secondo piano le direttrici più pesanti e oppressive del proprio sound, probabilmente già impiegate esaustivamente in precedenza, anche nelle collaborazioni con i Russian Circles, su “Memorial”, e Myrkur su “Mareridt”.
Ciò che rimane e viene conseguentemente esaltato è il songwriting, semplice ma dal grande impatto emotivo, che gravita attorno alla stupenda voce di Chelsea, sempre in primo piano, ad esprimere con forti contrasti tonali l’oscurità e la dolcezza (“When Anger Turns to Honey”), la sensualità e la disperazione (“Deranged for Rock & Roll”), dipingendo un panorama di sensazioni selvagge e rapimenti spirituali, sullo sfondo di una polverosa America allo sfascio (“American Darkness”), in cui forse l’unica vera ancora di salvezza è rappresentata dal valore unificante e di condivisione della musica e dell’arte.
Lungi dall’essere un articolo di rapido consumo, “Birth of Violence” è in primis il nuovo capitolo di un diario artistico personale e refrattario alle immediate catalogazioni, tanto freddo e sferzante nelle parole quanto caldo e accogliente nelle tonalità utilizzate.
Visto in prospettiva nella sua discografia precedente, questo album fotografa una Chelsea Wolfe sicuramente più matura e consapevole delle sue potenzialità e possibilità comunicative, responsabile e lucida nell’utilizzo della sua espressività, e quindi sempre più punto di riferimento internazionale di un certo modo di fare e intendere la musica, sperimentale o meno che sia.
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