Handful of Metal #4

Falaise – A Place I Don’t Belong To

“A place I don’t belong to” è il terzo lavoro a firma Falaise, progetto artistico atmospheric black di Matteo Guarnello e Lorenzo Pompili, edito da A Sad Sadness Song (divisione di ATMF).

L’album è un concept relativo al senso di perdita che gli esseri umani vivono nelle moderne megalopoli, così prive di personalità e anima, che provocano un desiderio di evasione annegato sotto un velo di malinconia e tristezza. Come vagabondi verso il nulla, i Falaise disegnano un dipinto drammatico di sconforto. I loro sentimenti di perdita e confusione assumono una forma prettamente post-black metal, con elevate dosi di melodie malinconiche e una vocalità stridente, che però rimane in secondo piano, in sede di mixing, come uno strumento fra gli strumenti.

La musica dei Falaise evoca sensazioni inquietanti di solitudine nella folla, di estirpamento dal nucleo interiore del mondo. I sogni e le pallide sfumature della coscienza solitaria si mescolano con una grigia realtà senza parole, ma le influenze shoe-gaze e post rock non spazzano via del tutto le depressive radici black, che rappresentano il contraltare d’impatto e intensità drammatica agli elementi ambientali, che colorano in modo multiforme un lavoro altrimenti fin troppo introverso.

In modo per certi versi non dissimile dall’operato di Alcest o Lantos, “A place I don’t belong to” è in poche parole una perfetta sintesi tra l’ortodossia black del debutto della band italiana e le susseguenti influenze post-rock, un viaggio interiore attraverso le strade più buie e desolate della modernità urbana.


VLTIMAS – Something Wicked Marches In

VLTIMAS, scritto tutto in maschio maiuscolo, è un power trio formato da tre volti noti del metal estremo, cioè nientemeno che il cowboy David Vincent (ex-Morbid Angel), il nordico Rune “Blasphemer” Eriksen (ex-Mayhem e Aura Noir) e il franco-canadese Flo Mounier (Cryptopsy). Visti i loro illustri trascorsi dal debutto “Something Wicked Marches In” ci si può legittimamente aspettare una cosa sola: blackened death metal, tecnico, aggressivo e glaciale.

Le aspettative non rimangono affatto disattese, in quanto questo lotto di brani è una perfetta sintesi delle caratteristiche salienti dei tre musicisti coinvolti, sia a livello compositivo che interpretativo, dimostrando una non banale capacità di trovare un punto di fusione ed equilibrio, che sia funzionale alla resa sonora, in termini di intensità e fruibilità. Non solo mera dimostrazione virtuosistica, per quanto i musicisti ne facciano adeguato sfoggio, ma anche un senso di spontaneità che può solo giocare a loro favore, nel cercare di creare una loro nuova identità artistica.

Missione riuscita, in attesa però di successiva futura riconferma.


Mavradoxa – Nightmarrow

Mavradoxa è un quartetto atmospheric black metal americano, che rispecchia in pieno le caratteristiche salienti del genere, per come lo conosciamo attraverso i suoi massimi esponenti d’oltreoceano, ovvero i vari Agalloch, Panopticon, Falls of Rauros, ecc… Il nome della band è una parola composta creata dal greco che si traduce approssimativamente in “pensiero oscuro”, e rappresenta perfettamente il senso di spiritualità individualista e naturale, tipico del genere.

Seguito di “Sojourners” (2016) e “Lethean Lament” (2017), il terzo album dei Mavradoxa, anche se rimane legato all’atmosfera tonale dei lavori precedenti, vede la band sviluppare e intensificare la sua capacità di scrivere brani più articolati e stratificati, con un approccio che altrove sarebbe possibile definire progressive.

Il midollo della notte, di cui nel titolo, si riferisce probabilmente alla nigredo, la notte nera dell’anima, che caratterizza i momenti di depressione e sconforto, sperimentati anche dai più forti e coraggiosi esploratori del sé più profondo, a maggior ragione in questo momento storico, così contraddistinto dalle conseguenze nefaste della tecnologia e del consumo vorace di risorse naturali, quale parte malevola della natura umana, sottesa in tutta la sventura e il degrado che abbiamo creato.

Lo spirito dell’album è radicato nel concetto di ciclicità, di fioritura e decadenza, eros e thanatos, come ben rappresentato dall’artwork di Dylan Garrett Smith.

Riflessivo a livello concettuale, ma ben diretto come impatto sonoro, “Nightmarrow” è un album che convince per la sua verace urgenza espressiva, ottimamente rappresentata dall’opener “Maple” e dalla bellissima title-track, non a caso posta nella parte centrale del disco, come nucleo di una narrazione del nostro attuale percorso verso l’annientamento.


Nyss – Dépayser

Appartenenti alla frangia più sperimentale e bastarda del moderno black metal, i francesi Nyss sono un trio che si trova perfettamente a suo agio nel roster Avantgarde Music, etichetta meneghina da sempre attenta promotrice delle commistioni stilistiche, sopratutto per ciò che concerne gli ambiti che intersecano le direttrici metal, ambient e noise.

“Dépayser”, seguito del più che buono “Princesse Terre (Three Studies of Silence and Death)”, del 2017, mostra ulteriori passi avanti, nelle capacità di maneggiare uno stile difficile e scabroso, di cui è assai facile perdere il controllo, qualora privi della dovuta perizia e lucidità. Ciò non avviene assolutamente in questi brani, acidi e graffianti, nel loro brulicante incedere, come un’entità strisciante fra le rovine rugginose di un mondo post-apocalittico.

Dosando sapientemente i succitati macro ingredienti, i Nyss riescono a rimanere godibili e fruibili, anche dagli ascoltatori meno adusi all’estremo, rappresentando in questo senso un buon viatico fra un moderno black post-industriale e derive psicotropiche à la Sunn O))).


Skaldic Curse – Devourer

Dagli annali della storia del black metal britannico, grazie ad Apocalyptic Witchcraft, torna ad essere disponibile una delle sue pagine più sottovalutate e misconosciute, Devourer”, ultimo album degli Skaldic Curse, che colpevolmente non ha mai visto una pubblicazione ufficiale all’epoca del suo rilascio (2013), uscendo dal radar di un pubblico distratto dalla proliferazione di stimoli e proposte.

Skaldic Curse è stata all’inizio una joint-venture fra membri di Akercocke e Fen, due fra le band più influenti nella scena nazionale, l‘una in chiave più sperimentale, l’altra sul versante post-atmospheric.

A dispetto delle tendenze imperanti nei primi anni 2000, il combo con base a Londra ha scelto un approccio risolutamente freddo, basato su un riffingwork intricato, con sovente il ricorso a melodie dissonanti, che ben si sposano a una vocalità abrasiva, che caratterizza l’intensità e l’impatto frontale, veri tratti distintivi della band.

Pur non rappresentato in senso assoluto un capolavoro imprescindibile del genere, “Devourer” è un disco assolutamente godibile e up to date, che certifica la lucidità e l’ispirazione posseduta dagli Skaldic Curse di quegli anni, band dalle sorti sfortunate, che avrebbe sicuramente meritato qualcosa di più.

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