Era una sfocata mattina nebbiosa, il mondo immerso in un’immensa cataratta, quando l’intravidi fra i rami di bosso, seminascosto in fondo a un fosso. Mezzo coperto da muschi e licheni, impavidi coloni attaccati con le unghie e coi denti ai medesimi appigli delle loro controparti anatomiche. Non fui nemmeno molto sorpreso, scorgendo quelle povere spoglie mortali, alla deriva come me nell’oceano verde scuro di quel fitto bosco invernale. La scarsa visibilità, perfetta metafora della mia quotidiana insondabile realtà, componeva lo scenario ideale per quella macabra, ma a suo modo serena apparizione. Giacevano in quel luogo da ormai sufficiente tempo per cambiare del tutto consistenza, perdere ogni colore, odore, significato, divenendo uno sparuto residuo esistenziale, alieno a se stesso e al mondo intero. Enigma senza soluzione, una fine spezzata, penzolante sull’abisso fra presente e passato. Non c’è assolutamente nulla che possa fare per lenire la decomposta tristezza di quelle quattro ossa in croce, nessun mezzo per conoscere o interpretare il destino ultimo delle carni che le avvolsero, della sua coscienza ormai trasmigrata, forse transustanziata, o più semplicemente svanita, come il suo pallido fantasma, fra i fumi leggeri della nebbia mattutina…